Se in azienda vi fanno partecipare a una roulette russa con le uova, non preoccupatevi. I vostri datori di lavoro non sono impazziti, ma probabilmente stanno puntando molto sul benessere fisico e psicologico dei propri dipendenti e quindi hanno inserito occasioni di svago nei normali cicli lavorativi.
Risulta essere quello che accade, ad esempio, agli impiegati delle compagnie assicurative del gruppo britannico Admiral, che in organico ha una sorta di “ministro del divertimento” che si aggira negli uffici cercando di coinvolgere i dipendenti proprio in momenti di svago e ironia. Il “fattore F” (felicità) sta diventando nel mondo sempre più importante ai fini della crescita delle performance professionali in azienda. Fattore in base al quale se le persone vivono bene sul posto di lavoro, sono molto più utili. A quanto pare, infatti, i dipendenti “felici” hanno una produttività del 31% superiore a quella media, vendono il 37% in più e sono tre volte più creativi di quelli che si ritengono “infelici”. Succede infatti che i dipendenti “felici” si ritrovino con un 20% di tempo in più per lavorare a piacimento su qualcosa e magari per scovare novità e soluzioni diverse.
C’è persino chi si prende la briga di stilare una classifica delle aziende con i migliori ambienti di lavoro. In particolare, posti di lavoro in cui i dipendenti hanno fiducia delle persone per cui lavorano, sono orgogliosi di ciò che fanno e si divertono con le persone con le quali lavorano. Si tratta di Great Place to Work, un istituto internazionale che da anni crea, studia e accredita gli ambienti di lavoro eccellenti. Nella sua ultima graduatoria, Microsoft (pur avendo perso la leadership a livello mondiale secondo la rilevazione precedente) è risultato il miglior ambiente di lavoro in Europa. Le altre sono, appunto, Admiral e NetApp. In sintesi, sono aziende che puntano alla felicità dei lavoratori, cioè alla flessibilità, all’equilibrio dei tempi tra casa e lavoro e alla meritocrazia. Alcune delle aziende migliori spiccano per i permessi no limits, per la consulenza nell’affrontare problemi personali dei lavoratori, per l’assistenza medica gratuita, per i servizi interni di benessere, market e take-away. Queste aziende non fanno altro che sopperire al welfare statale, sempre più a corto di risorse quasi a ogni latitudine, con un vero e proprio welfare aziendale, che ha indubbiamente un costo, ma che si traduce in un beneficio superiore fino al 70%, in termini di produttività e di performance finanziaria o di azzeramento dell’assenteismo e degli infortuni sul lavoro.
L’aspetto negativo di queste classifiche (almeno per noi) è che non ci sono aziende italiane. Colpa soprattutto della crisi, che le aziende le chiude o le riduce ai minimi termini, ma un po’ anche di un background culturale secondo cui dalle nostre parti molti (non tutti) scelgono di vivere alla giornata e di avere a che fare con i piccoli e più urgenti problemi e ritengono che non sia importante spendere in formazione o investire nelle risorse umane.