Non è semplice pensare di trasformare in mestiere questa sempre più popolare forma di lavoro collaborativo, ma nuovi studi di settore suggeriscono che diventare crowd worker presto non sarà più un’utopia. Anzi, in molti casi il crowdsourcing si è già trasformato per le aziende in un nuovo modello di business fondato sulla collaborazione tra risorse esterne e risorse interne e, per i freelance, nella possibilità di lavorare in un mercato globale.
I ricercatori della Carnegie Mellon University ritengono che l’industria del crowdsourcing sia in crescita e con essa si complicheranno anche le questioni che riguardano le condizioni della collaborazione.
Amazon Mechanical Turk è un esempio eclatante di fornitore di grandi dimensioni che usa il crowd work nell’ambito della Human Intelligence Tasks coinvolgendo più di 500 mila lavoratori di più di 190 paesi.
Eppure, non ci sono requisiti di salario minimo per l’industria crowdsourcing: i ricercatori temono che potrebbe condurre allo sfruttamento massiccio della forza lavoro nel mondo digitale. Tale mancanza di norme e l’abuso delle opportunità offerte da questo fenomeno modifica l’essenza stessa del crowdsourcing che si basava, almeno fino a qualche tempo fa, sull’idea di unire i contributi intellettuali volontari in modo libero e con approccio costruttivo.
Il docente Aniket Kittur sostiene che gran parte dei posti di lavoro, circa il 20%, potrebbe basarsi sul crowdsourcing negli anni a venire. E’ per questo che il fenomeno va definito, regolamentato e controllato.